Derry 2013

Derry 2013
Scuola in visita al centro cinematografico nazionale, Vilnius, Lituania

giovedì 11 dicembre 2014

Giuliano Montaldo all'ICRCPAL. Il patrimonio, la Film Literacy e i "piccoli miracoli"

Conoscere come eravamo per sapere chi siamo è fondamentale. Chi vede Ladri di Biciclette (1943) non vede solo la vicenda di un uomo e di suo figlio, vede Roma e i suoi abitanti, la città com’era, le case, i quartieri, entra nel costume e nelle abitudini dell’epoca. Certe immagini censurate dei filmati dell’Istituto Luce sono in grado di restituire il senso profondo di un’epoca. La verità, allora, era scritta nei volti delle persone che, a Genova, quel 10 giugno 1940, assistevano corrucciate all’annuncio di Mussolini dell’entrata in guerra dell’Italia”.

Solo uno dei tantissimi spunti di riflessione che Giuliano Montaldo ha offerto, in una straordinaria Lectio Magistralis, agli studenti del corso di Laurea Magistrale della Scuola di Alta formazione dell’ICRCPAL, Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario. Montaldo, che con indomite generosità, energia e passione dialettica ha intrattenuto per più di un’ora gli studenti e il pubblico con testimonianze, aneddoti, riflessioni, è stato accompagnato sul palco della Sala Conferenze del bellissimo comprensorio di via Milano, che già fu sede temporanea dell’Orto Botanico di Roma (prima del suo trasferimento in via della Lungara, nel 1913) ed è oggi sede dell’Istituto, da Maria Cristina Misiti, che ne è la Direttrice, Rossana Rummo, direttore Generale per le Biblioteche, gli Istituti Culturali e il Diritto d’Autore presso il Mibact-Ministero per il Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Umberto Broccoli, scrittore, autore radiofonico, che con la consueta verve affabulatoria ha introdotto la mattinata, abbozzando una contestualizzazione nella cornice storica dell’Italia che ha fatto da sfondo al lavoro del Maestro fin dagli anni ‘60, e Mario Musumeci, dell’Ufficio Studi Conservazione e Restauro della Cineteca Nazionale presso Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, nonché docente della Scuola, che porta i saluti del Presidente, Stefano Rulli. I convenuti esprimono il loro saluto a Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema presso il Mibact. E, ovviamente, da Vera, sua moglie e collaboratrice fin dal suo secondo film, che ha assistito all’incontro dalla prima fila.

Giuliano Montaldo, classe 1930, da 60 anni opera, come ci dice, “senza aver mai smesso di lottare”, nel cinema italiano dapprima come attore, ad esempio nei panni di un soldato dell’esercito russo in Kapò (1963) di Gillo Pontecorvo o in collaborazione con Carlo Lizzani, sia in Achtung! Banditi! (1952) che in Cronache di poveri amanti (1954), e poi come regista attivo fin dai primi anni ’60. È sua la firma su capolavori che fanno parte della storia del cinema italiano, da Sacco e Vanzetti (1971)a Giordano Bruno (1973) e L’Agnese va a morire (1976). Fino all'ultimo dei suoi film, L'industriale (2011), "girato in colori con una saturazione vicina al bianco e nero", dice Montaldo, "come la crisi che racconta". Tanti dei film di Montaldo ruotano intorno al racconto della memoria dell’Italia e degli italiani, osservati sempre sotto la lente critica di un autore che ha voluto raccontare qualcosa che dell’Italia è sfuggito ai libri e alla Grande Narrazione storica di questo paese e dei suoi cittadini, talora storie legate a personaggi che si sono trovati al centro di rivolgimenti storici cruciali e sono stati ingiustamente dimenticati.

Giuliano Montaldo e il suo cinema sono parte integrante della memoria storica collettiva dell’Italia e dunque nessuno meglio di lui avrebbe potuto tenere una lezione magistrale dedicata a giovani allievi e allieve di un Istituto dedito alla conservazione e al restauro del patrimonio archivistico e librario nazionale. Nei magazzini al piano seminterrato della Scuola sono transitate, tanto per dirne una, le lettere di Aldo Moro, che sono state restaurate e restituite all’Archivio di Stato; nella visita che ci è stata offerta abbiamo avuto modo di vedere, con la schiena percorsa di brividi, i Quaderni di Antonio Gramsci, scritti in sottili e sbiaditi quaderni di fortuna con la sua grafia minuta e a caratteri minuscoli. Accanto al patrimonio librario e cartaceo la Scuola dedica parte della propria attività didattica al restauro cinematografico: in coda alla lezione, una giovanissima ed emozionatissima allieva ha presentato, dinanzi al Maestro, il lavoro svolto nel corso suo tirocinio presso i laboratori della Cineteca Nazionale. Non è affatto casuale, quindi, che uno dei “portatori sani di memoria storica”, come Montaldo ha definito gli attori delle compagnie di giro attive in Italia nel XVI secolo, che erano coloro i quali attraverso il teatro portavano le notizie in giro per l’Europa, si sia cimentato in una lezione in siffatta cornice e dinanzi a siffatto pubblico.

La testimonianza, dice Montaldo, di un regista, un autore, un direttore della fotografia, un tecnico che possa restituire a chi non c’era il ricordo di un’epoca andando a parlare di un film restaurato è una via per la reiterazione di una memoria, di un racconto di fondazione che è parte del patrimonio inestimabile della storia di un paese. Il ricordo di Montaldo va a una ventina d'anni prima, al 1996, quando il sindaco di Narni, il piccolo comune umbro al confine con il Lazio, gli propose di collaborare alla creazione di un festival che mostrasse alle persone il grande cinema italiano del passato restaurato e riportato alla luce. Oggi quel festival esiste ancora, si chiama Le vie del cinema ed è diretto da Alberto Crespi.

Dentro un film che viene dal passato c’è un’atmosfera che per chi non c’era non è conoscibile, ci sono temi e problematiche che, pur assumendo contorni differenti, esistono ancora. È il caso di Una giornata particolare (1979) di Ettore Scola, ripresentato in versione restaurata alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia di quest’anno, film contestualizzato e collocato in uno spazio e in un tempo ben precisi che, però, prefigura un orizzonte di questioni ancora attuali e tutt’altro che risolte. Il cinema può e deve servire, come poche altre arti possono fare, a riallacciare i rapporti con il passato, a costruire ponti che aiutano ad affrontare storie attuali e ci danno la misura di quanto le radici di queste storie siano ben radicate nel passato e nella cultura del proprio paese.

Peraltro il cinema italiano, aggiunge Montaldo, è un cinema che ha trovato, in maniera del tutto indipendente e autonoma e attuando una vera e propria rivoluzione politica, un modo nuovo di raccontare la realtà. Al di qua dei metri di pellicola dell’Istituto Luce censurati che raccontavano lo sgomento dell’Italia di fronte alla dittatura fascista, c’è il Neorealismo, il cinema della Liberazione, come lo ha definito Bazin, un cinema che ha recuperato quelle facce dal fondo dei cassonetti parcheggiati fuori dai laboratori di Cinecittà e le ha fatte conoscere all’Italia e al mondo. E qui Montaldo sorprende il pubblico citando Giovanna (1955) di Gillo Pontecorvo, presentato alla Mostra di Venezia nel 1956, il racconto della rivoluzione di un gruppo di operaie di una fabbrica tessile a Prato ("prima dell’arrivo dei cinesi", sottolinea ironicamente Montaldo) che mette insieme la lotta politica e sindacale con la lotta di genere, che oppone il manipolo di insorte alle idee patriarcali del proprietario e dei loro mariti e figli. Un film politico – come tutti i film di Pontecorvo, aggiungiamo - che racconta un brano dimenticato della storia d’Italia che oggi è in grado di raccontare questo paese come, se non meglio, di cento manuali scolastici, girato con pochissimi mezzi e un cast di attori non professionisti. Quelli che, dice Montaldo, “riuscivano a metterci sempre un qualcosa di più degli attori professionisti nei film che facevano, riuscivano a metterci la verità”.

Conservare il cinema è conservare, dice Montaldo, il lavoro; e, con un gioco di incastri e metonimie, “salvaguardare dall’oblio il lavoro di chi il film l’ha fatto”. È più volte citato nella lezione magistrale Vittorio Storaro, “pluripremiato”, lo definisce ironicamente Montaldo, tra gli autori italiani della fotografia uno dei più importanti, quotati e apprezzati. Fu con Storaro che, nei primi anni ’80, nacque Arlecchino (1982): Montaldo fu convocato presso gli uffici della divisione Ricerca e Sperimentazione della RAI, allora diretta da Massimo Fichera, per realizzare un film in Alta Definizione, tecnologia avveniristica messa a punto in Giappone dalla Sony, che facesse il giro del mondo. E quale soggetto migliore per ovviare al problema della lingua, disse Montaldo a Fichera osservando la gigantografia di Arlecchino appesa al muro della sua stanza e pensando alla sua italianissima gestualità, in grado di farsi lingua universale adatta a portare un film così fatto in giro per il mondo. “A Venezia”, aggiunse allora Fichera, così da poter testare la resistenza della macchina all’umidità e la resa degli obiettivi sulle lunghe distanze.

È passando per l’articolazione tra la tecnologia analogica della pellicola e la tecnologia elettronica del video che Montaldo torna alla carica sui nuovi modi di girare nell’era del digitale che, siamo d’accordo, sarà pure il futuro ma rischia di portare con sé delle cattive abitudini. “Nei miei anni”, dice, “si, è vero, c’era la soddisfazione di dire ‘motore’, poi ‘ciak’ e poi ‘azione’, ma poi subito dopo c’era sempre un ‘buona la prima’. I metri di pellicola che si riuscivano a strappare al produttore – figura alla quale Montaldo, che è sempre rimasto “al di qua della barricata”, ha dedicato un momento ironico e divertente nel corso della lezione - erano sempre pochi. Oggi, invece, si gira all’infinito e si arriva al montaggio anche con 40 ore di girato, impazzendo per cercare di ricordarsi qual era il migliore tra i mille take che si sono presi”. Aneddotica che aiuta chi ascolta a entrare in quel mondo, ad avvicinare ai minimi problemi che si pongono quotidianamente nel mestiere del regista, artigiano che lavora con la realtà.

A seguito della lezione, Rossana Rummo ha voluto esprimere l’urgenza di intervenire per portare avanti un progetto pubblico collettivo sul patrimonio, che sia incentrato sui due pilastri della conservazione e del restauro. La memoria del funzionario del Ministero va ai primi anni 2000 quando, nei suoi ultimi anni di mandato presso la Direzione che è tornata a dirigere dopo svariati anni e dirige ancora oggi, si parlava di un Piano Nazionale per il restauro e si vagheggiava la creazione di una Fondazione per la conservazione e il restauro del cinema europeo perché, sottolinea la Rummo, non è più possibile – come già non lo era allora – elidere il lavoro sul patrimonio da fare a livello nazionale con il lavoro da fare a livello europeo.

Il patrimonio della cultura e dell’industria cinematografica europea - aggiungiamo noi - è il centro di attenzione delle politiche europee sul cinema e l’audiovisivo; le cineteche europee sono radunate, da ormai diversi anni, sotto la divisione Media e Contenuti Convergenti della DG CONNECT, la direzione Generale per le Reti, i Contenuti e le Tecnologie della Commissione Europea, presso la quale, da pochi mesi, è collocato il sotto-programma MEDIA del Programma Europa Creativa che annovera al suo interno il bando Audience Development – Reaching the audience dedicato alle attività di Film Literacy che costituisce un'opportunità per le istituzioni dedite al patrimonio e quest’anno, per l'Italia, ha visto l’affermarsi di un progetto avente come capofila la Cineteca di Bologna. Il patrimonio si sta dunque imponendo nell’agenda pubblica europea e bisogna lottare perché questo diventi con sempre maggior urgenza una questione di primo ordine.

In linea con l’inserto sopra proposto, Rossana Rummo sottolinea la questione-scuola: "è impensabile disporre di questo patrimonio inestimabile e non riuscire a portarlo organicamente e sistematicamente nella scuola pubblica, per permettere agli studenti italiani di uscire dal proprio percorso di studi con una formazione di spettatori". Ecco, a nostro modo di vedere, il terzo pilastro che mancava alla coppia conservazione-restauro: la valorizzazione, motore fondamentale del patrimonio che non è tale se non prevede una sua vivificazione per mezzo della diffusione. Diffusione che sarà tanto più vivificante quanto più questo patrimonio è antico e storico per chi ne beneficia, perché solo così si chiuderà il cerchio indicato da Montaldo: “conoscere come eravamo per sapere chi siamo". Il patrimonio cinematografico è uno dei mezzi più potenti per raccontare “da vicino” la storia, il pensiero, il costume di un’epoca passata nella quale è necessario immergersi per dare una tridimensionalità, una profondità alla propria vita e al lavoro che si svolge sul territorio di un paese.

E troviamo particolarmente bello che Montaldo abbia chiuso la sua lezione magistrale tornando a Narni, vent’anni dopo: l’anno scorso, ci riferisce, il sindaco di Narni lo avrebbe richiamato per invitarlo a inaugurare una sala cinematografica. “Stai scherzando?”, fu la risposta. In un momento storico in cui si sente parlare solo di sale che chiudono... Possibile che ci siano dei posti in cui il cinema scoppia così di salute? E invece, ci riferisce Montaldo, una volta giunti a Narni tutto è stato chiaro: la sala cinematografica era nata all’interno di una scuola elementare nella quale, per volere degli alunni, dei genitori e del personale docente, un'aula in disuso era stata presa e adattata a sala cinematografica, con tutto l'occorrente. Per esattezza, la scuola elementare di Ponte San Lorenzo, dove è nel giugno 2013 è stata inaugurata la sala "De Sica".

Ecco cos’è la Film Literacy. Un piccolo miracolo, un soffio di umanità in una comunità, un gruppo di persone, l’espressione dal basso di un autentico bisogno di cultura che nasce "per contagio positivo",  potremmo dire, come un passaggio di testimone, da un sindaco a un regista a un festival a una coppia di genitori al loro figlio piccolo alla sua maestra alla sua preside e poi di nuovo al sindaco. E tutto, giocato intorno al patrimonio, un tesoro inestimabile, con le sue decine di registi, centinaia di tecnici e operatori e migliaia di film che, frammenti di vita vissuta e di realtà catturata e sottratta al flusso del tempo, sono in grado di raccontarci chi siamo e capire dove vogliamo andare. Qualcuno ricorda forse un momento della storia di questo paese in cui ce ne sia stato più bisogno di oggi?


Simone Moraldi

Roma, mercoledì 10 dicembre, 2014

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